Giovedì 14 giugno, ore 14-15:30
Il panel si propone di affrontare il tema “classico” della libertas privilegiando momenti e fonti utili a descriverlo in una dimensione dinamica, in particolare nella lunga durata e con riguardo a cesure importanti della sua secolare vicenda. La prima relazione prevista analizza le fonti del VI secolo, in cui convivono almeno tre usi del lemma, che ne mostrano la perdurante efficacia legittimante in continuità con l’eredità romana. Infatti l’ideologia della libertà fu parte integrante della imitatio Imperii di Teodorico, erettosi agli occhi dei sudditi romani a difensore della loro antiqua libertas, ma fu rivendicata anche da Giustiniano, che a sua volta accusò gli Ostrogoti di aver reso schiavi gli abitanti dell’Italia. Verso la metà del VI secolo si affermò infine una terza accezione della libertas, nella sua dimensione spirituale, come libertà difesa e vissuta dai religiosi.
Sia il regno longobardo nella sua fase matura, quando più forti divennero i richiami alla romanità quale fattore e serbatoio di legittimazione, sia l’Impero carolingio con le sue continuazioni germaniche si autorappresentarono come istituzioni in grado di concedere e di garantire la libertà. Lo dimostrano i diplomi a favore dei monasteri e in particolare la ricchissima documentazione per S. Salvatore – S. Giulia di Brescia (oggetto della seconda relazione), che si distende dall’VIII al XII secolo senza che il lemma libertas compaia esplicitamente, sostituito però dal richiamo a diritti, individuali e collettivi come quelli offerti dal mundiburdium e dalle altre forme di eccettuazione. L’accezione “religiosa” della libertà, già presente nel VI secolo, era connaturata alla visione profondamente unitaria della Christianitas propria della Reichskirche, nella quale l’imperatore si proponeva come difensore e propugnatore della vita regolare, come risulta proprio dalle arenghe dei diplomi. Gli scritti di Pier Damiani (oggetto della terza relazione) mostrano la crisi di questa “coscienza del sistema”. Lo scisma di Cadalo, alla vigilia della lotta per le investiture, rivelò i limiti della Chiesa a guida imperiale – di cui pure l’Avellanita fu a lungo fiero difensore – e lo indusse a rivendicare la libertas ecclesiae, in linea con gli orientamenti del gruppo riformatore romano di cui faceva parte. Ecco dunque perché proprio a partire dallo scisma di Cadalo il riferimento esclusivo alla libertà del monaco fu sostituito nelle lettere damianee da quello alla libertas ecclesiae, che l’imperatore Enrico IV era chiamato, secondo l’Avellanita, a garantire. Tale pur significativa visione moderata dell’indipendenza della Chiesa sarebbe stata superata da quella ben più radicale elaborata da Gregorio VII per rivendicare l’assoluta indipendenza del sacerdotium dal regnum.
Il panel mira a mettere in evidenza i processi di composizione e scomposizione dei linguaggi della libertas nel lungo periodo per verificarne l’efficacia come fattore legittimante di poteri estremamente fluidi e in perenne ridefinizione. Un aspetto che si confida possa emergere è quello dei ‘richiami concorrenti’ alla nozione di libertas, a cui si possono appellare contemporaneamente grandi poteri e nuclei politici minori: per ribadire uno status, per darsi legittimazione, per rivendicare autonomia. L’interrogativo, da verificare nella terminologia e nei contesti, riguarda la coesistenza della compattezza astratta del principio di libertas e della sua frammentazione negli usi conflittuali che se ne possono fare.
Coordinatore: Caterina Ciccopiedi
Relazioni:
Marco Cristini, Quid est libertas? La libertà nell’Italia del VI secolo
Gianmarco Cossandi, Una libertas di lunga durata: diplomi regi e imperiali per il monastero di Santa Giulia di Brescia (secc. VIII-XII)
Antonio Manco, Tra due “mondi”: la libertas nelle lettere di Pier Damiani
Discussant: Caterina Ciccopiedi