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Società Italiana per la Storia Medievale

Appello al Ministro Bray per la semplificazione amministrativa e la liberalizzazione nella riproduzione di beni culturali

Decreto Legge 8 agosto 2013, n. 91: Appello delle società scientifiche a Massimo Bray, Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, per la semplificazione amministrativa e la liberalizzazione nella riproduzione di beni culturali

 

        Negli ultimi due decenni, la diffusione della fotografia digitale ha consentito agli istituti di conservazione di riprodurre e rendere disponibili in rete moltissime immagini ad alta risoluzione di beni culturali (libri, manoscritti, reperti archeologici e opere d’arte), rispondendo alle esigenze di rapida e frequente consultazione presenti nel mondo della ricerca e intensificando, nel contempo, le necessarie azioni di tutela e di conservazione degli originali. D’altronde, la creazione di copie digitali di documenti e monumenti del passato accresce le possibilità di tramandarne la memoria nel tempo, nel momento in cui agli originali in formato analogico sono affiancati i loro duplicati su supporto numerico.

La fotografia digitale permette inoltre agli studiosi di riprodurre con notevoli semplificazioni nelle tecniche di ripresa, a costo pressocché nullo, tutte quelle testimonianze del passato – scritte, grafiche o materiali – su cui si basa la ricerca storica. La fotografia digitale facilita infine la condivisione dei documenti, sia nella fase di studio sia in quella di edizione, e ciò apre alla ricerca rilevanti prospettive, consentendo agli studiosi di accedere a notevoli risorse informative nonostante i tagli ai finanziamenti alla ricerca e la riduzione dei servizi erogati da enti e istituti culturali.

Com’è noto, la legge Ronchey, poi incorporata nel Codice dei beni culturali, ha introdotto un diritto esclusivo degli istituti culturali sulla riproduzione dei beni facenti parte delle loro collezioni (artt. 107 e 108 del D.Lgs. 42/2004), che ha limitato la possibilità per i ricercatori di acquisire riproduzioni con proprie attrezzature; nel caso in cui i servizi di riproduzione siano stati affidati dall’istituto in outsourcing con precise clausole di esclusiva, la ripresa fotografica effettuata dal ricercatore è addirittura vietata. Si è poi affermata, in base a una circolare ministeriale relativa agli archivi e velocemente ripresa come modello in altre sedi, l’imposizione di tariffe anche quando sia lo stesso studioso a scattare le foto (Circolare del MIBAC, n. 21 del 17 giugno 2005). Questo, mentre il quadro normativo complessivamente delineato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio prevederebbe esplicitamente la gratuità delle riproduzioni richieste dagli utenti per finalità culturali ad esclusione del solo ed eventuale rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione.

Per quanto attiene alla pubblicazione di tali riproduzioni, le prassi burocratiche di concessione della relativa autorizzazione comportano tempi e oneri che di fatto limitano tale possibilità, tanto più nel caso di edizioni digitali o distribuite on line. Sono oltretutto oneri che hanno un costo significativo per l’istituto senza che vi si possa scorgere alcun vantaggio.

Si innesca così un circolo vizioso di decrescita della fruizione del patrimonio culturale che, oltre a ostacolare la ricerca, limita le opportunità di valorizzazione anche economica che deriverebbero da una migliore diffusione della conoscenza dei beni culturali presenti nelle raccolte di tali istituti.

È quindi estremamente auspicabile un’esplicita indicazione normativa circa la libera riproducibilità dei beni culturali per finalità di ricerca e documentazione o comunque in attività non lucrative, fatte salve le motivate esigenze di tutela e conservazione, oltreché quelle relative a eventuali diritti d’autore.

Tali disposizioni dovrebbero valere sicuramente per i beni culturali pubblici, ma anche ‑ in ragione di un superiore interesse collettivo ‑ per quelli posseduti, detenuti o depositati presso soggetti di qualsiasi altra natura, analogamente a quanto disposto in materia di consultabilità degli archivi privati di notevole interesse storico dalla normativa archivistica già dal 1963.

Per ragioni di semplificazione burocratica – con tutti i possibili risparmi che comporta ogni singolo passo fatto in questa direzione – andrebbero anche riconsiderati la procedura di concessione per la diffusione delle immagini nelle pubblicazioni e l’obbligo di deposito degli originali presso il soggetto conservatore (perlomeno per quanto previsto dalle circolari, dal momento che il codice dei Beni culturali prevede questo solo per le raccolte a fini di catalogo), riformulandoli come un dovere di comunicazione preventiva del progetto scientifico e un impegno al deposito delle copie della pubblicazione o la garanzia di accesso alle versioni online.

Questo insieme di proposte è pienamente coerente con la recentissima Direttiva 2013/37/UE che riforma la Direttiva del 2003 sull’informazione del settore pubblico. La riforma infatti estende il suo raggio d’azione alle biblioteche, agli archivi e ai musei pubblici  e afferma il principio che le raccolte presenti in questi istituti devono essere liberamente riproducibili e riusabili a scopo commerciale e non commerciale, fatti salvi eventuali diritti d’autore, e che eventuali accordi di esclusiva con singoli gestori delle attività di riproduzione devono avere durata limitata nel tempo ed essere giustificati dall’obiettivo del finanziamento di progetti di digitalizzazione o comunque volti al potenziamento dei servizi di questi istituti, ivi compresi l’accesso e il riuso.

 

Per queste ragioni, in linea con una proposta già avanzata dall’Associazione italiana biblioteche in occasione del percorso di conversione del Decreto Legge 21.6.2013 n. 69 (meglio noto come “Decreto del fare”)[1], formuliamo un appello al Ministro affinché voglia promuovere le seguenti modifiche al Codice dei Beni culturali di cui al Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, possibilmente in occasione dell’iter di conversione del Decreto Legge 8 agosto 2013, n. 91:

 

All’articolo 107, comma 1, le parole “possono consentire” sono sostituite dalla parola “consentono”; le parole “fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore” sono sostituite dalle seguenti: “previa verifica dell’assenza di specifiche ragioni ostative, quali ad esempio motivate esigenze di tutela dell’integrità del bene o della sua destinazione d’uso, o il rispetto delle norme in materia di sicurezza pubblica, riservatezza e trattamento dei dati personali, diritto d’autore[2].  

 

All’articolo 108, comma 3, dopo le parole “per motivi di studio,” sono aggiunte le parole “o per finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale,”; è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Qualora abbiano ottenuto la riproduzione con propri mezzi e spese, sono tenuti a consegnarne una copia all’amministrazione concedente, che mantiene ogni diritto di utilizzazione su tale riproduzione, su qualunque supporto e in qualsiasi formato[3].

 

 

 

 

 

Giuseppe Petralia, presidente della “Società Italiana degli Storici Medievisti” (SISMED)

 

 

Marcello Verga, presidente della “Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna” (SISEM)

 

Agostino Giovagnoli, presidente della “Società Italiana per lo Studio dell’Età Contemporanea” (SISSCO)

Sauro Gelichi, presidente della “Consulta per le Archeologie Postclassiche”

Giuliano Volpe, presidente della “Società degli Archeologi Medievisti Italiani” (SAMI)

Rosanna Cioffi, presidente della “Consulta Universitaria Nazionale Storici dell’Arte” (CUNSTA)


[2] Con questo emendamento si vuole affermare che la riproduzione di beni culturali in possesso di soggetti pubblici deve essere generalmente consentita eccetto nei casi in cui verificabili ragioni di particolare rilevanza inducano a negare il consenso alla riproduzione.

[3] Con questo emendamento si afferma il principio della gratuità dell’autorizzazione alla riproduzione di beni culturali per utilizzazioni non commerciali di particolare rilevanza ai fini della libertà della ricerca e dell’insegnamento, salvo il rimborso dei costi marginali della riproduzione stessa. Inoltre, si afferma il diritto dell’istituzione concedente di ottenere copia della riproduzione, se effettuata dall’utente e non dall’istituzione concedente, e di poterla liberamente riutilizzare in ogni modo.  

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