Il 12 ottobre è venuto a mancare François Menant. La Sismed partecipa al lutto della comunità scientifica italiana ed europea, pubblicando questo ricordo di Giuliano Milani.
Il 12 ottobre, a Parigi, è morto François Menant, storico della Lombardia, dell’età feudale e comunale, dell’economia e delle società medievali.
Nato settantaquattro anni fa da una famiglia in cui confluivano anche origini friulane, Menant aveva seguito il più classico ed eccellente dei percorsi della formazione superiore francese: dopo aver frequentato l’école préparatoire presso il liceo Louis-Le-Grand, era entrato ventenne all’École Normale Supérieure della Rue d’Ulm, la stessa in cui più tardi, dal 1998 al 2017, sarebbe diventato professore di Storia medievale. Agrégé d’Histoire e membro dell’École française de Rome, Menant aveva preparato sotto la direzione di Pierre Toubert la sua prima grande ricerca: la tesi sulle Campagnes lombardes, discussa nel 1988 e pubblicata nel 1993. Questa thèse d’État di storia regionale era dedicata, secondo il programma scientifico dei maestri davanti ai quali l’aveva discussa (oltre a Toubert, Duby, Fossier, Bonassie, Bourin) e degli altri che invocava nella prefazione (Violante, Haverkamp, Keller), alle trasformazioni avvenute nei secoli centrali del medioevo. Con essa, tuttavia, il paradigma del “feudalesimo mediterraneo” applicato alla Sabina, alla Catalogna e all’Abruzzo, veniva verificato per una regione al centro dell’Italia comunale, articolata attorno a Bergamo, Cremona e Brescia. Dall’analisi sistematica di tutta la documentazione di quei tre contadi, prima e dopo la nascita dei comuni cittadini, Menant traeva non solo un modello di evoluzione locale dei rapporti feudali (che espose anche nei saggi raccolti e tradotti in Lombardia feudale. Studi sull’aristocrazia padana nei secoli X-XIII, Milano 1992) nonché un chiaro affresco sulla nascita e la crisi di signorie e comunità rurali, ma anche la dimostrazione di una sistematica connessione tra lo sviluppo economico, politico e sociale delle campagne e quello delle città (esemplare per chiarezza della dimostrazione, alle pp. 594-601, l’analisi delle conseguenze dell’Edictum de beneficiis del 1037).
Da quel poderoso lavoro, negli anni successivi Menant prese le mosse per studi di grande sistematicità, come i lunghi capitoli sulla storia precomunale e comunale di Bergamo (nei due tomi del secondo volume della Storia economica e sociale di Bergamo. I primi millenni, Bergamo nel 1999 e nel 2007) e di Cremona (nella Storia di Cremona, vol. 2: Dall’alto Medioevo all’età comunale, a cura di G. Andenna, Cremona, 2004). Le ricerche per la tesi lo avevano tuttavia anche messo nella condizione di comprendere fenomeni centrali del pieno medioevo non solo italiano che avrebbe continuato a studiare, da solo (in moltissimi articoli) e più spesso in programmi di ricerca collettivi: l’antroponimia (L’anthroponymie, document de l’histoire sociale des mondes médiévaux méditerranéens, curato con M. Bourin e J.-M. Martin, Roma 1996), la pervasività del credito (Notaires et crédit dans l’Occident méditerranéen médiéval, curato con O. Redon, Roma 2004), il ruolo delle élites rurali (Les élites rurales dans l’Europe médiévale et moderne. 27es Journées internationales de l’abbaye de Flaran, 9 et 10 septembre 2005, curato con J.-P. Jessenne, Toulouse 2007), e, in una chiave più comparativa, quelle che chiamava rationalités pratiques (i saperi della contabilità e della documentazione: Écrire, compter, mesurer. Vers une histoire des rationalités pratiques, curato con N. Coquery e F. Weber, Paris 2006). Più tardi sarebbero usciti i risultati di un’altra ricerca collettiva a cui diede un contributo fondamentale: quella sulla congiuntura del 1300 che reinterpretò in modo diverso da una crisi generalizzata (Dynamiques du monde rural dans la conjoncture de 1300 en Méditerranée occidentale, curato con M. Bourin e L. To Figueras, Roma 2014). Nell’ambito dello stesso programma, sviluppò anche il tema che lo avrebbe più occupato negli ultimi tempi, quello delle carestie, nella cui analisi, sulla scia delle proposte di Amartya Sen, cercava di allontanarsi da una spiegazione esclusivamente climatica e naturale per avvicinarsi a una prospettiva economica e politica (Les disettes dans la conjoncture de 1300 en Méditerranée occidentale. Actes du colloque de Rome (27-28 février 2004), diretto con J. Drendel e M. Bourin, Roma 2011).
Mentre produceva e organizzava queste ricerche internazionali, collaborando strettamente con colleghi italiani, tedeschi, inglesi, spagnoli e statunitensi, e produceva sintesi fondamentali come quella sull’Italia dei comuni (uscita in Francia nel 2005 e tradotta per Viella da Igor Mineo nel 2011), Menant occupava un posto al tempo stesso centrale e anomalo nella formazione superiore del suo paese. Specialis fidelis dell’École Normale Supérieure (come si definì il giorno del suo pensionamento, parafrasando la documentazione cremonese), il suo compito statutario consisteva nel preparare ed esaminare i giovani all’agrégation, il temibile concorso per l’insegnamento (composto da quattro prove scritte e tre orali e i cui programmi cambiano ogni due anni) e nell’accompagnarli a trovare la propria strada negli studi medievali, non dirigendoli nelle tesi di dottorato, ma offrendo loro – prima – fondamentali seminari di formazione. Di questi servizi didattici Menant aveva fatto un’arte alimentata dalla personale curiosità per temi spesso lontani dai suoi studi di prima mano, dall’implacabile esaustività della bibliografia, dall’approccio diretto alle fonti. Questi principi di metodo li trasmetteva senza pesantezza, con un’ironia costante che talvolta terminava nell’umorismo, talvolta portava in dissolvenza a più misteriosi silenzi, e che si accompagnava sempre alla gentilezza e al sorriso. Grazie all’autorevolezza e alla simpatia che suscitava, ai suoi seminari assistevano studenti i cui interessi erano talvolta molto distanti dal pieno e basso medioevo: modernisti, antichisti contemporaneisti, molti dei quali hanno compiuto carriere importanti dentro e fuori l’università. In quanto fondamentale supporto nel formare e nel consigliare i giovani, nel mantenere aperte le relazioni internazionali (con l’Italia in particolare) tramite inviti di professori stranieri e invii di studenti all’estero, gli altri medievisti vedevano in lui un ingranaggio insostituibile del sistema universitario, oltre che un collega disponibile a collaborazioni fruttuose.
Nonostante la malattia lunga e invalidante che lo ha colpito negli ultimi anni, François Menant lascia a chi lo ha conosciuto e a chi lo legge un ricordo sereno, quello di uno storico concreto, curioso e sistematico, di un medievista capace di coniugare la forza della prospettiva locale con la libertà degli orizzonti più aperti.
Giuliano Milani
NB: in mancanza di una voce Wikipedia – prova ulteriore del suo carattere schivo – un buon punto di partenza per farsi un’idea più completa dei suoi molti e diversi lavori è la sua pagina del sito dell’ENS: https://histoire.ens.fr/-Menant-Francois-.html.